Il quinquennio breve: l’audizione della Corte dei conti sul federalismo fiscale

Alle prime avvisaglie di primavera, dopo un quasi invisibile inverno, anche la magistratura contabile esce allo scoperto e si reca in Parlamento per relazionare con dettaglio sulla prosecuzione del cammino del federalismo fiscale. Non dovendo rispettare protocolli istituzionali, fosse capitato a noi di esporre le conclusioni dell’indagine, avremmo esordito definendo questa riforma l’equivoco più clamoroso delle ultime legislature. Ma conviene attenerci alla stretta attualità e, soprattutto, al rigore della Corte dei conti: il quadro complessivo sarà più chiaro e avremo ascoltato una voce autorevole, benché inascoltata. L’orizzonte temporale a cui si fa riferimento nel documento riepilogativo dell’audizione (che risale allo scorso 6 marzo) sta per raggiungere il traguardo di un quinquennio. Risale appunto al giugno del 2009 la legge delega sulla base della quale si sarebbe dovuto costruire un percorso articolato in essa ben delineato.

Ma qualcosa è andato terribilmente storto (i grassetti sono nostri): “Il percorso prefigurato dalla legge 42/2009 accusa ritardi importanti, che riguardano quasi tutti i punti cardine del disegno normativo. 
Il sistema perequativo dei Comuni basato su fabbisogni e capacità fiscale standard è ancora in avvio. Il sistema di finanziamento di Enti locali e Regioni (inciso dall’emergenza finanziaria) non ha assunto un assetto stabile e la trasformazione in entrate proprie dei trasferimenti da Stato a Regioni, e di quelli regionali verso Province e Comuni, non è stata completata. Anche una buona parte delle misure volte a rafforzare l’autonomia tributaria delle Regioni è restata soltanto sulla carta.” Esordio più esplicito e, ad un tempo, più disarmante non poteva esserci. A mitigare tale raffica di insuccessi giunge poco dopo una parziale attenuante, facilmente intuibile: il progressivo insorgere e svilupparsi della crisi finanziaria che, bloccando risorse umane e finanziarie per la sua soluzione, ha di fatto chiuso le porte ad una realizzazione compiuta e per tempo dei principi contenuti nella delega. Ma è sufficiente questa spiegazione per giustificare la stagnazione della legislazione sul federalismo fiscale? Certo è che la stessa Corte non nasconde perplessità anche di rilievo sulla gestione finanziaria degli stessi enti destinatari della riforma.

La via vecchia: l’ANCI Emilia-Romagna e il vademecum sulla TARI 2014

Nei giorni in cui la versione rivista e corretta (e pure ampliata) del c.d. decreto Salva Roma stenta a trovare spazio nel sommario della Gazzetta Ufficiale (almeno nel momento in cui scrivo queste righe), le luci sono puntate sulla spinosa e complessa questione delle aliquote TASI e della destinazione dell’eventuale maggiorazione al finanziamento di detrazioni e agevolazioni per soggetti in difficoltà. Non che il testo circolato sinora in bozza sia stato redatto limpidamente. Si dispone, infatti, che: per l’anno 2014, nella determinazione delle aliquote TASI possono essere superati i limiti di aliquota stabiliti dal comma 677 (la somma delle aliquote della TASI e dell’IMU per ciascuna tipologia di immobile non deve essere superiore al 10,6 per mille), per un ammontare complessivamente non superiore allo 0,8 per mille (arrivando quindi all’11,4 per mille) purché siano finanziate, relativamente alle abitazioni principali e alle unità immobiliari ad esse equiparate detrazioni d’imposta o altre misure, tali da generare effetti sul carico di imposta TASI equivalenti a quelli determinatisi con riferimento all’IMU relativamente alla stessa tipologia di immobili.

Offerta speciale: il TUC introdotto da un emendamento al DDL di stabilità 2014

Se state seguendo, per dovere professionale, naturalmente (non vi intravedo, infatti, alcuna piacevolezza), il dibattito o, meglio, il tira e molla sul contenuto della prossima legge di stabilità, non vi sarà sfuggita l’ennesima proposta che, spazzando via la precedente, ribalta il tavolo delle trattative e degli emendamenti e ridisegna il fisco locale. Si tratta, questa volta, del TUC che, a dispetto del nome croccante, è una scivolosa alternativa alle varie TARI, TASI e TRISE. In linea di principio, ogni contributo a una discussione così delicata e decisiva come quella della struttura della finanza di territorio è benvenuto. Tuttavia, i mesi che precedono l’approvazione di una legge di stabilità rappresentano solo una comoda palestra per esercitare la nobile arte del pugilato giuridico: un tributo vale l’altro, purché non passi la proposta avversaria. Ci tocca perciò esercitare con elevata perplessità il pur legittimo diritto di critica nei confronti di un’ipotesi riformista che, fosse stata avanzata in tempi non sospetti, avrebbe potuto raccogliere ben altri favori.

Norme nel frullatore: le modifiche alla disciplina TARES dopo la conversione in legge del D.L. n. 102/2013

Facendo due chiacchiere salutari con amici funzionari, si percepisce con nettezza la rassegnazione con la quale si accolgono, ormai quotidianamente, notizie a proposito della struttura prossima ventura del fisco locale. E pur vero che i quotidiani specializzati devono dar conto anche dei lavori in corso e dunque non sono solo le norme entrate in vigore a occupare colonne su colonne di prezioso inchiostro. Se, tuttavia, ci fate caso, quest’anno rappresenta una vera e propria eccezione, poiché alle tentennanti decisioni che precedono di prammatica l’approvazione della legge di stabilità si è aggiunta, quasi contemporaneamente, la conversione in legge del D.L. n. 102/2013. La frustrazione, in quest’ultimo caso, nasce dalla consapevolezza che, non importa quale strada sarà infine imboccata dal legislatore, la disciplina giuridica dei tributi 2013 non si ripresenterà nel prossimo esercizio se non in una veste profondamente revisionata e dunque le novità introdotte dal decreto convertito saranno applicate a uno scampolo dell’attuale esercizio. Resta poi un mistero il motivo per il quale siano state reintrodotte all’ultimo istante TARSU, TIA 1 e 2. Sebbene si tratti solo di una facoltà, vi è da chiedersi quanti enti alla fine di ottobre debbano ancora effettuare la scelta della tipologia di prelievo a copertura del servizio rifiuti. Se si trattasse di un numero significativo, peraltro, ciò certificherebbe una volta per tutte la velleità di un disegno di riforma che vuole partire da zero ma non è nemmeno in grado di garantire l’applicazione delle norme che approva (posto che le stesse non trovano neppure per un trimestre una stabilità degna di questo nome).

Troppa grazia: per i tributi locali proliferano gli acronimi e scarseggia la chiarezza

L’approvazione da parte dell’esecutivo del disegno di legge finanziaria per l’anno successivo (la stabilità è solo nel nome, ve ne sarete accorti) è come il varo di un transatlantico dopo il Titanic: si sa come parte, non si sa come arriverà alla metà (posto che ci arrivi). Di solito, nel riempire le caselle dei diversi comparti (fisco, tributi locali, pubblico impiego, misure per le imprese, ecc.), i tecnici sono perfettamente consapevoli dell’aleatorietà del lavoro svolto, posto che nelle settimane successive vi dovranno metter mano n volte prima di giungere a un testo finalmente condiviso. Il provvedimento destinato a regolare la finanza pubblica nel 2014, perciò, non farà alcuna eccezione. E tuttavia, nell’attesa di un primo testo compiuto (scrivo queste note dopo la sola conferenza stampa di presentazione), appare evidente l’intento di ribaltare per l’ennesima volta il quadro della fiscalità locale con l’annunciata introduzione della Service Tax. Che ovviamente non si chiamerà Service Tax. Ora, già recentemente l’improvvida pensata di qualcuno (non si è mai capito bene chi) di coniare per quest’ultima la sigla TASER (con tutte le possibili allusioni all’abbattimento definitivo dei contribuenti) aveva confermato la tendenza all’autolesionismo di certi comunicatori pubblici. Ora si fa un ulteriore passo avanti, introducendo il concetto di tassa una e trina. Avremo, così, il TRISE che figlierà la TARI e la TASI (per tacere della TARIP che, a regime, dovrebbe prendere il posto della TARI). E’ certo inutile fasciarsi la testa prima di rompersela e, coerentemente con quanto affermato all’inizio, siamo certi che questo profluvio di acronimi sarà abbandonato in nome della semplificazione (oltre che del buon gusto). Resteranno, peraltro, i criteri direttivi sulla base dei quali procedere alla determinazione del nuovo tributo.

Si può fare: le proposte di ANCI su TARES e non solo, prima che sia troppo tardi

Appare talmente evidente che a nessuno salta in mente di contraddire: ogni commento scritto oggi (ma varrà lo stesso fra una settimana, esattamente come sette giorni fa) su una qualsiasi delle norme in fase di conversione o di quelle in fieri (su tutte l’introduzione della service tax) equivale a una divinazione da fattucchiera. Non che manchino interventi ben documentati e, soprattutto, di stimolo a completare nel modo più chiaro possibile il quadro 2013 della finanza locale. Il punto, evidentemente, è che la fragilità intrinseca del quadro politico rende effimera qualsiasi analisi, persino quelle basate su documenti ufficiali provenienti dal Parlamento. Metto le mani avanti, lo so. Ma è l’unico modo per convincere anche il sottoscritto che si può speculare all’infinito sul destino di IMU e compagni senza timore alcuno: la smentita del giorno dopo penalizzerà chiunque.

Volere è potere: il perenne incremento delle aliquote dell’addizionale IRPEF

Una certezza, almeno, ci resta: il fisco locale (regionale o comunale non importa) non potrà mai fare a meno dell’Addizionale IRPEF. Lo conferma l’ennesima, puntuale, indagine esplorativa della benemerita CGIA di Mestre che, più e meglio degli uffici studi ministeriali, si adopera per dare informazione (certo, a partire da un preciso e trasparente punto di vista) sul carico fiscale di cittadini e imprese, illuminando però nel contempo alcuni aspetti utili per l’analisi anche da parte degli addetti ai lavori. L’ultimo rapporto, in ordine di tempo, riguarda, appunto, le addizionali sull’imposta sui redditi delle persone fisiche. L’impietoso quadro di cifre e andamenti parte dal 2010 e giunge sino a oggi per avvertirci che, in parallelo alla tassazione su immobili e raccolta rifiuti, si è affiancata una imposizione puntuale e vieppiù incisiva per garantire agli enti locali un gettito sostanzialmente stabile.

Palla lunga: più dubbi che certezze nel decreto-legge n. 102/2013

La spasmodica attesa delle ultime settimane per conoscere le scelte dell’esecutivo nazionale a proposito di IMU è terminata. O no? Stando alla lettera del decreto apparso in Gazzetta l’ultimo giorno di agosto (rispettando così almeno formalmente l’impegno preso nei mesi precedenti), infatti, sono certamente più numerose le decisioni ancora da prendere di quelle già operative. Essendo rotti a ogni esperienza, quando si tratta di coerenza e linearità del legislatore, non era difficile ipotizzare che le settimane estive sarebbero trascorse più a litigare che a mettere nero su bianco soluzioni a medio termine all’ormai cronico problema della tassazione immobiliare e più in generale del fisco locale. A quanto pare, non è neppure servito a molto il lavoro del dicastero preposto che con solerzia aveva (ne parlammo lo scorso numero) sintetizzato le possibili alternative all’attuale disciplina IMU. In quel documento era racchiuso un ventaglio di ipotesi tra le quali non sarebbe stato difficile individuare la più opportuna, la più efficace anche in riferimento all’esperienza di altri Paesi europei.

La lotteria: cosa contengono le nove proposte ministeriali sul prelievo immobiliare

A pensar male, si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Tra gli aforismi del tardo novecento più citati (è pure inutile rammentarne l’autore, tanto è risaputo), quello sopra riportato è quello che meglio si attaglia all’argomento del giorno: le nove proposte del Ministero dell’Economia e delle Finanze per una riforma strutturale del prelievo fiscale sugli immobili. Si perché, cosa dovremmo inferire da un documento di cento abbondanti pagine che delinea scenari plurimi senza indicare la preferita se non che esso sia utilissimo a macinare discussioni, anche produttive perché no, ma che infine risulta intimamente pilatesco nel (non) risolvere il problema finanziario di quest’estate, rendendo così pubblica la palese confusione nella quale, dopo tre mesi, versa l’esecutivo? Peraltro, peccheremmo di incompletezza se non dessimo conto di questo sforzo dal sapore accademico ma potentemente concreto se solo si vuole andare sotto la superficie. Ecco, perciò, di seguito una sintetica rassegna delle conseguenze di ciascuna delle nove ipotesi, non senza aver ricordato che la lista ministeriale non è esaustiva (la soluzione adottata potrebbe essere il risultato di un ibrido fra una o più delle ipotesi del MEF) e che l’autorevolezza della fonte avrebbe meritato o un vero dibattito pubblico sul tema o una maggiore riservatezza nel divulgare ipotesi da nessuno avallate, quindi, ad oggi, di fatto inesistenti.

Temperature percepite: l’estate caotica del fisco locale

Che lezione si può trarre dalle indiscrezioni che, insistentemente, filtrano dalle stanze ministeriali e che paiono schiudere scenari ben lontani dallo spirito ultra-riformista che avrebbe dovuto avvolgere il settore del fisco locale? La risposta più ovvia è anche quella più malinconica: dovevamo aspettarcelo. La montagna che partorisce un topolino è metafora che accompagna regolarmente i funzionari in attesa dell’ennesimo, decisivo, colpo di spugna sul passato. Mai come questa volta, tuttavia, la preparazione alla delusione si associa a un senso di disorientamento generale. La definitiva consacrazione dell’IMU come imposta cardine della finanza territoriale rischia di non essere sancita, pur di non causare eccessivi scossoni in un esecutivo che avrebbe il precipuo compito di rimettere in moto l’asfittica economia nazionale. L’eterno gioco del rinvio, però, finisce per risultare un’arma a doppio taglio. Se gli enti continueranno a vivacchiare solo grazie a periodici trasferimenti dalla casa madre e senza una reale prospettiva di consolidamento di un gettito che cambia con troppa e sospetta rapidità, gli stessi bilanci chiusi con l’acqua alla gola produrranno economie locali di pura sopravvivenza: pochi servizi, non necessariamente gratuiti, pochissime opere pubbliche e, di conseguenza, indotto economico inconsistente.  Suona così un po’ grottesco l’entusiasmo con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze rende pubblici i dati delle entrate tributarie degli enti territoriali a tutto il mese di maggio. Nei primi cinque mesi del 2013, si legge nel rapporto n. 5 pubblicato nei giorni scorsi, le entrate tributarie degli enti territoriali “segnano un marcato incremento rispetto a quelle registrate nel corrispondente periodo dell’anno precedente: complessivamente le entrate risultano di 10.065 milioni di euro con una crescita di +514 milioni di euro (+5,4 per cento). Dello stesso segno l’andamento dell’addizionale comunale IRPEF (+54 milioni di euro, +1,7 per cento). Contribuisce inoltre al risultato positivo delle entrate degli enti territoriali il gettito della nuova imposta municipale propria per la quota di spettanza comunale (338 milioni di euro) riferito ai ritardati versamenti del 2012 e in minima parte ai versamenti per il 2013.”